Non si può togliere il segnalibro da certe pagine di storia, perché senza memoria non saremmo nessuno. Così, durante il nostro viaggio in Argentina ho cercato di raccontare ai bambini la storia dei desaparecidos.
Mi serviva una chiave per aprire la porta alle loro emozioni, e l’ho trovata nel piccolo ‘Museo della Memoria’ di Garage Olimpo.
Qui sul finire della dittatura furono torturate e uccise più di cinquecento persone. E se oggi di quelle tenebre restano appena le tracce a terra nelle anguste celle di reclusione, il dolore di chi ancora cerca i corpi è vivo in ogni respiro di Buenos Aires.
Delle loro storie sono pieni i Musei della Memoria, raccontate perché il mondo possa non dimenticare.
E’ bastato sfogliare il diario di una madre, raccolto a caso tra i tanti album di famiglia sui tavoli del Museo, per comprendere il terrore di un intero Paese. E’ così che ho raccontato ai miei bambini dei 30.000 desaparecidos in Argentina: attraverso la vita di una madre che si chiamava Carmen, e che come me aveva tre figli.
Fra le pagine sottili di carta velina sono conservate le sue fotografie, insieme alle lettere che raccontano con tenerezza l’intimità dei piccoli gesti, la quotidianità di una famiglia, nella quale ognuno di noi ha riconosciuto se stesso.
Con quella storia fra le dita e gli occhi pieni di lacrime, ho raccontato ai miei bambini quella favola triste.
Carmen fu sequestrata insieme ai suoi figli maggiori Pablo e Cristina, mentre Alicia, la più piccola, fu costretta all’esilio in Olanda. Per paura che dall’estero Alicia denunciasse la scomparsa della madre, l’esercito permise loro di scambiarsi alcune lettere che sono conservate in questo diario, insieme ai disegni e ai loro piccoli segreti.
Si chiamavano fra di loro ‘Caloma’ e ‘Calomita’ (Paloma e Palomita). Nei primi anni di vita, la piccola Alicia pronunciava una “C” al posto della “P”, e quella tenerezza è rimasta per sempre nei loro nomi. Ora che la scrittura era l’unico modo di raccontarsi, Alicia scriveva molte lettere alla madre. Le raccontava della sua vita in Olanda, che aveva iniziato una terapia da uno psicologo e sempre accompagnava le sue parole con qualche fotografia.
Carmen rispondeva con un linguaggio filtrato dalle circostanze, non poteva raccontare nulla dell’orrore al quale era costretta, ma continuava a dare consigli alla figlia, vivendo appesa al filo della speranza, nella gioia di saperla serena e al sicuro.
Alla fine di ogni lettera Carmen disegnava sempre un uccellino, perché in spagnolo ‘paloma’ significa ‘colomba’. Quando Alicia era piccola ogni sera alle 22 la mamma le raccontava una storia stringendola sotto la propria ala, e in quell’abbraccio continuavano a trovarsi prima di dormire, nonostante la distanza e l’abisso che le separava.
Queste sono le ultime parole di Carmen, e quando sono arrivate fra le mani di Alicia, forse Carmen era già stata giustiziata.
Alicia non volle mai più tornare in Argentina, morì in Olanda alcuni anni dopo alle 22, l’ora in cui sempre abbracciava sua madre.
Dopo Garage Olimpo, abbiamo portato i bambini all’ESMA, la scuola militare che fu il più grande centro di detenzione e tortura negli anni della dittatura. Dei 5.000 desaparecidos che furono reclusi fra queste mura, soltanto 500 si salvarono, il resto fu narcotizzato e caricato a poco a poco su un aereo che ogni mercoledì sorvolava le acque del Rio de la Plata fino all’Oceano, dove i corpi venivano scaricati. Quella pratica di sterminio fu chiamata ‘vuelos de la muerte‘.
Il nostro viaggio nella memoria si è concluso a Plaza de Majo, dove ogni giovedì alle 15 le madri dei desaparecidos si riuniscono da oltre trent’anni. Di fronte al palazzo del governo camminano intorno all’obelisco e reclamano la restituzione dei propri figli, con la testa coperta da un fazzoletto bianco, che in origine era il primo pannolino di tela dei loro piccoli, simbolo di quell’amore materno che nessuna morte può spezzare.